
Due rivoluzioni ci salveranno: quella ecologica e quella digitale
Spesso parlo di rivoluzione digitale ma non così frequentemente affronto nel mio blog i temi collegati all’ambiente che sono altrettanto importanti e che possono spiegare alcune cause della pandemia che oggi tutti viviamo con preoccupazione e, speriamo, con maggiore coscienza e consapevolezza di quali azioni dovremo pianificare per un futuro migliore.
Abbiamo sentito parlare molto negli ultimi dieci anni di deforestazione e agricoltura intensiva e tutti siamo consapevoli che se gli organi di stampa ne hanno parlato e continuano a farlo in maniera così insistente è perché il fenomeno è già in atto da almeno vent’anni.
Se si invadono foreste tropicali e habitat naturali dove vivono molte specie animali e vegetali, che a loro volta ospitano tanti virus, è sempre più evidente, anche a chi non è scienziato come me, che distruggiamo gli ecosistemi ed eliminiamo gli ospiti naturali dei virus, che vanno alla ricerca di altri ospiti che possono trovare, anche negli ambienti urbani, negli esseri umani.
Uno scienziato, Peter Daszak, che ha partecipato ai lavori dell’OMS e che presiede la EcoHealth Alliance afferma che all’inizio del 2018 l’OMS aveva inserito una “malattia X” nella lista dei pericoli internazionali, prevedendo che sarebbe stata il risultato di un virus di origine animale e che sarebbe emersa in qualche parte del mondo dove lo sviluppo economico avvicina gli uomini e la fauna.
Questa malattia si sarebbe diffusa rapidamente e in modo silenzioso sfruttando le reti di trasporto e commercio.
Anche se il numero di persone che soffrono di malattie infettive è diminuito progressivamente con il progresso, il numero delle epidemie è aumentato dal 1940 con un picco negli anni Ottanta.
Inoltre, tre quarti delle nuove malattie che interessano gli esseri umani sono trasmesse dagli animali e con la deforestazione avvenuta in larghe porzioni dell’Asia, del Brasile e dell’Africa molte persone sono state esposte in maniera consistente a queste malattie infettive emergenti.
Negli ecosistemi più ricchi, molte specie, quando sono di fronte a un virus possono distruggerlo o non farlo diffondere, svolgendo un ruolo di barriera riparatrice.
In India gli avvoltoi hanno per molto tempo assicurato la funzione di “pulire l’ambiente”. Grazie alla elevatissima acidità del loro apparato digerente, potevano distruggere le carcasse delle mucche, i virus e i batteri. Dagli anni Novanta, però, un antinfiammatorio somministrato al bestiame li ha decimati e la loro rapida scomparsa ha provocato un accumulo di carcasse che hanno contaminato le fonti di acqua e un aumento dei cani randagi, che rappresentano la principale fonte di trasmissione del virus della rabbia.
Insomma, le trasformazioni agricole, la distruzione degli habitat naturali e gli allevamenti intensivi favoriscono i contagi epidemiologici tra l’animale selvatico, l’animale d’allevamento e l’essere umano.
Se a questi elementi si aggiunge un’economia globalizzata e una popolazione sempre più concentrata nei centri urbani a stretto contatto con la fauna, si può meglio comprendere il fenomeno pandemico Covid-19 che tutti abbiamo visto propagarsi in tempi brevissimi, consapevoli del fatto che un sistema globale sempre più interconnesso ha facilitato la trasmissione e potrà in futuro trasmettere nuove infezioni se l’uomo non si arrende di fronte alla volontà di sfruttare intensivamente l’ambiente, causandone la sua distruzione.