
È la fine dell’ufficio per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi?
Il “telelavoro”, concetto ben diverso dallo “smart working” promette meno costi, meno inquinamento, una gestione migliore della vita privata e anche una maggiore produttività per alcune categorie di lavoratori.
Un po’ di storia per comprendere il fenomeno che stiamo osservando.
Nei primi anni Settanta in America la benzina a basso costo favoriva il congestionamento del traffico nei grandi centri urbani fino a quando nel 1973 l’Opec decretò l’embargo petrolifero e il prezzo della benzina quadruplicò.
Improvvisamente l’utilizzo dell’auto privata apparve insostenibile e si inizió a discutere del trade-off tra telecomunicazioni e trasporti.
Subito l’idea degli uffici satelliti di Niles, un fisico prestato all’ingegneria, non attecchì ma negli anni Ottanta ci furono grandi progressi nelle tecnologie dei PC e della rete che fecero nascere lo schema fondamentale per alcune professioni del telelavoro.
Negli anni Novanta arrivarono i PC connessi in rete e in tutti gli uffici furono adottate la posta elettronica e la condivisione dei file, che ridussero anche riunioni fisiche e telefonate.
Nei primi anni Duemila la banda larga velocizzò notevolmente le connessioni domestiche. Arrivò poi Skype a cui furono anche aggiunte le funzioni di videochiamata: in un anno Skype fu scaricato 500 milioni di volte!
Stava iniziando un nuovo modo di lavorare e vivere: molti si trasferirono dalle città alle zone più tranquille per poter beneficiare di affitti più bassi, di una qualità della vita migliore, di una maggiore flessibilità degli orari che avrebbe permesso di dedicare più tempo alla famiglia.
In Silicon Valley per fermare il telelavoro le aziende diffusero una serie di attrattive quali, i pasti gratis, le aree fitness, il corporate concierge, ecc., per attrarre i dipendenti in ufficio.
Un’idea di come potrebbe essere il futuro può fornirla la situazione degli uffici in Asia dove per esempio per le sedi di Microsoft sono ritornati in ufficio solo la metà dei seimila dipendenti.
Insomma, io credo, dopo questa breve analisi, che anche in Italia potremmo attenderci una situazione mista a seconda delle caratteristiche della prestazione lavorativa, delle dimensioni aziendali, del suo management, dell’età dei lavoratori, dell’impossibilità in termini assoluti di sostituire le esperienze e le interazioni sociali offerte dai luoghi di lavoro con la sfilza di collaboratori che compaiono sullo schermo di un portatile nel loro quadratino, ecc., tutti fattori che inevitabilmente dovranno essere declinati non in termini generali e standardizzati, ma attraverso una contrattazione fluida e flessibile tra datore di lavoro e lavoratore che, necessariamente deve passare per una nuova visione delle relazioni industriali.