
Internet è di fatto nelle mani di 4 grandi aziende private statunitensi. È possibile un’altra rete?

Chi studia la Gig Economy, da tempo si chiede se è possibile una rete internet, alternativa all’attuale architettura tecnologica su cui la rete poggia da mezzo secolo.
Il web di oggi è di tutti e di nessuno; se si accettasse una rete internet alternativa il potere si dovrebbe mettere in mano agli Stati anziché alle persone.
Una squadra di ingegneri di Huawei è convinta che l’Internet di oggi ha raggiunto i limiti delle proprie capacità tecniche e che sia arrivato il momento di progettare una nuova rete globale, gestita dall’alto e sicuramente costruita dai cinesi.
Anche chi non è esperto come me, si è convinto che il modello attuale di internet, autoregolamentato dai big player americani, non funziona più e i Governi di tutto il mondo sono giunti alla stessa conclusione.
I conflitti intorno al governo di internet sono i nuovi spazi in cui si sta sviluppando il potere politico ed economico nel XXI secolo.
Insomma, la politica di tutto il mondo deve ragionare su come vuole la rete internet del futuro e, quindi, il “nuovo ip”.
Non sfugge più a nessun Governo, sia esso democratico o autoritario, sulla scia di una serie di scandali che vanno dal caso Cambridge Analytica al ruolo di Facebook nell’incitamento alla violenza in Birmania, che internet è uno spazio che ha urgente necessità di misure pubbliche per evitare di continuare ad essere escluso dal mondo online.
Il nuovo ip, quello che ci consente di immaginare il mondo digitale del 2030, non sarà così instabile, con molti problemi di sicurezza, affidabilità e configurazione che hanno caratterizzato l’ip del XX secolo.
La nuova rete dovrebbe avere un’architettura calata dall’alto e favorire progetti di condivisione dei dati tra i Governi per metterli al servizio dell’IA, della raccolta dei dati e di ogni altro tipo di applicazione.
Molti esperti temono che con il nuovo ip, i fornitori di accesso a internet, generalmente di proprietà pubblica, avrebbero il controllo di tutti i dispositivi collegati alla rete e sarebbero in grado di sorvegliare e bloccare i singoli accessi.
Questo è il sovranismo dirigista cinese.
In questo momento circolano due versioni di internet: una più occidentale di Regno Unito e USA e l’altra più cinese, già sposata da Russia, Iran e Arabia Saudita.
Tra i critici più feroci del modello cinese c’è un ingegnere svedese che spesso ricorda che “va trovato un equilibrio tra la capacità di comunicare e quella di controllare, ma che tra le due cose la più importante è sempre quella di dare voce alle persone”.
Un punto di vista opposto si registra in Cina dove dal 2014 si svolge ogni anno la World Internet Conference e dove i maggiori esperti mondiali, tra i quali anche Tim Cook della Apple, discutono di “una comunità per un futuro condiviso nello spazio digitale”.
Negli ultimi anni, visto l’intensificarsi della guerra tecnologica tra USA e Cina, molti dirigenti hanno preferito non farsi vedere troppo allineati alle posizioni di Pechino e le presenze internazionali sono diminuite.
Agli inizi degli anni Novanta, il Governo cinese sviluppó il great firewall (la grande muraglia digitale), un sistema di controllo che impedisce ai cittadini di connettersi a siti stranieri vietati (da Google al New York Times) e blocca i contenuti interni politicamente sensibili con l’obiettivo di prevenire le mobilitazioni di massa online.
Nonostante la grande muraglia digitale, il Governo cinese non riesce a bloccare tutti i contenuti perché la rete mondiale è permeabile ed è per questo che un team di esperti cinesi sta studiando il nuovo ip, che poggerà sulla “via della seta digitale”, un sistema di infrastrutture informatiche avanzate che nei paesi emergenti, soprattutto l’Africa, è stato messo in piedi dai cinesi.
Il tema è complesso e meriterebbe un approfondimento tecnico politico che vada oltre le simpatie o antipatie verso la Cina piuttosto che verso gli USA.
Dovremmo sforzarci di trovare un terzo modello, la cosiddetta via d’uscita che, da un lato, dia autonomia agli utenti, aumenti il tasso di democrazia e trasparenza online e, dall’altro, argini il potere delle grandi big tech e dei servizi di sicurezza dei Governi.
È compito della politica proteggere la democrazia in un’epoca di sorveglianza e restrizioni, qualunque sia il potere che sta dietro, sia esso il mercato o la spinta autoritaria di certi Governi.
C’è bisogno di una rete occidentale capace di esprimere la visione di un futuro digitale compatibile con la democrazia. Questa deve essere la missione del Governo italiano nel prossimo decennio.