
Il nuovo volto del capitalismo
Il Covid-19 ci consegnerà un mondo molto diverso, più povero, più diseguale, meno consumistico e con più disoccupazione.
Ognuno di noi riconsidererà i propri consumi: i più responsabili lo stavano già facendo.
Con la rivoluzione industriale del XIX secolo i cittadini si sono lentamente trasformati in consumatori: da un lato, il consumo è diventato uno stile di vita e una cultura e, dall’altro, i produttori hanno tratto crescenti profitti dai consumatori, sempre più stimolati a spendere per i consumi per essere al passo con i tempi.
Oggi, si assiste a segnali in netta controtendenza: consumatori che vogliono acquistare di meno, che vogliono mangiare vegetariano o vegano, che vogliono riparare i beni esistenti e non più distruggerli per riutilizzarli o per distribuirli alle persone bisognose.
Sono in discussione due principi fondamentali sui quali è cresciuto il capitalismo: il primo è che la gente deve consumare sempre di più per soddisfare i propri bisogni e il secondo è che il pianeta non ha risorse illimitate indispensabili a sostenere una crescita illimitata.
La significativa crescita economica e di produttività che il capitalismo, aiutato dalla globalizzazione, ha determinato a livello mondiale non è però stata redistribuita in maniera equa, causando così non solo un allargamento della forbice sociale, al punto che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, ma anche un progressivo scivolamento verso la povertà delle classi medie.
Perfino Bill Gates ha chiesto pubblicamente di aumentare l’aliquota fiscale sui redditi alti e altri miliardari americani stanno allertando la loro categoria con il messaggio “i forconi stanno arrivando”. I più illuminati hanno perfettamente compreso che i cittadini devono guadagnare abbastanza da mangiare, pagare l’affitto e andare in pensione senza fare la fame. E per fare tutto ciò e continuare ad alimentare il capitalismo con i consumi, è indispensabile non solo creare ricchezza, ma anche redistribuirla equamente per sostenere un circolo virtuoso: un capitalismo che non muore, anzi si sostiene con i consumi dei cittadini che hanno un lavoro e che possono spendere.
Il rallentamento della crescita economica porterà maggiore disoccupazione e la digitalizzazione causerà altresì un lieve ridimensionamento dei posti di lavoro, anche se nasceranno nuove professioni.
Quando la crisi sarà finita, probabilmente non prima di 3-5 anni, il capitalismo sarà approdato a una nuova fase. Tutti i consumatori saranno più attenti e rivedranno il loro stile di vita, dando più spazio a ciò che è essenziale e non all’effimero e il capitalismo avrà assunto un volto più umano.
A differenza delle precedenti rivoluzioni industriali, la crisi sociale che stiamo vivendo alla quale si è aggiunta la rivoluzione digitale ci sta insegnando che da soli non si esce dal tunnel e che occorre farlo insieme, in stretta collaborazione e condivisione, perché solo così non ci impoveriamo tutti. Il capitalismo dal volto umano vuole proprio condividere la ricchezza con chi la crea, vale a dire con il capitale e anche con il lavoro: i due fattori produttivi saranno sempre più dialetticamente collaborativi e non in contrapposizione, perché solo così il capitalismo potrà sopravvivere.