
L’Italia deve cambiare altrimenti rischia di diventare più povera dell’Africa
L’Italia deve cambiare altrimenti rischia di diventare più povera dell’Africa.
Il decreto “Cura Italia” contiene una serie infinita di proroghe che dilazionano, ma non risolvono i problemi atavici del sistema produttivo italiano.
Così come il Governo è riuscito, seppur commettendo qualche errore nella fase iniziale, ad adottare misure rigorose per contrastare il diffondersi del COVID-19, facendo nell’interesse della comunità meglio di altri stati europei, allo stesso modo questa è l’occasione storica per attuare una rivoluzione nella Pubblica Amministrazione e sburocratizzare non solo a parole, come si sta facendo da almeno trent’anni, ma nei fatti, bypassando con coraggio un quadro di norme che nel corso degli anni si sono stratificate per giustificare i costi dell’apparato burocratico, ma che non sono servite a modernizzare il nostro paese.
Quando il Ministro Pisano parla di PA digitale, senza aver prima semplificato, mi preoccupo molto, perché il “digitale” può essere una grande leva per modernizzare, semplificare e controllare, ma se viene innestato su una macchina vecchia e impolverata, si rischia un’esplosione. Per semplificare il ragionamento, vorrei utilizzare questa espressione: “Sarebbe come mettere il motore di una Ferrari su una vecchia Cinquecento”.
Per non parlare della misura, che se non ricordo male valeva circa 50 milioni, messa in campo dall’ex Ministro Buongiorno per contrastare l’assenteismo con l’introduzione di sistemi di verifica biometrica e di videosorveglianza che oggi sarebbe anacronistica, pensando all’evoluzione del mercato del lavoro verso lo smart working soprattutto nelle aree amministrative (quelle che non riguardano i servizi alle persone).
Secondo uno studio pubblicato da “The European House – Ambrosetti” se tra il 2013 e il 2018 l’efficienza della PA italiana si fosse allineata a quella media di Francia, Spagna, Germania e Regno Unito, il nostro PIL sarebbe stato pari a 1761 miliardi €, rispetto al valore effettivo di 1.614 miliardi €.
Non sono pochi 147 miliardi in meno in 5 anni, una perdita alla quale, se andiamo ad aggiungere quella di quest’anno, che potrebbe essere stimata in almeno 50 miliardi, ci fa immediatamente comprendere che il potenziale inespresso del PIL italiano può essere ancora di almeno 200 miliardi, ai quali si debbono aggiungere i miliardi di recupero dell’evasione, stimati in altri 100.
È da questi numeri che la politica ha il dovere di ripartire, cogliendo l’occasione storica di una guerra mondiale, che non poteva essere scatenata con l’atomica, per definire il nuovo orizzonte di crescita, sviluppo e benessere diffuso del XXI secolo. Così come dopo la seconda guerra mondiale, l’Italia accese i motori e per trent’anni è cresciuta fino ad arrivare ad essere la settima manifattura mondiale, oggi deve riappropriarsi del “Rinascimento manifatturiero”, del quale si sono impadroniti ingiustamente gli Americani, facendo proprio il termine “Manufactory renaissance”.
Alcuni pilastri del futuro paradigma di crescita:
- digitalizzazione e sharing economy
- smart working
- sburocratizzazione
- partnership pubblico-privato
- binomio tecnologia-artigianato e rinascimento manifatturiero
- decongestionamento dei grandi centri urbani e ritorno nelle aree interne servite da rete e wifi
- revumping delle economie locali e dell’artigianato glocal, fortemente identitario ma aperto al mondo.
Dai un’occhiata al mio progetto ICO Valley che alcuni avevano definito di una pazza visionaria, ma che oggi potrebbe essere concretizzato.