
Una breve riflessione sul mondo che verrà
A oggi, per coloro che hanno un’età compresa tra i 30 e gli 80 anni, non c’è evento nella mente che risulti più presente del Covid-19. Non è un caso, infatti, che tutti tendiamo ad attribuire alla pandemia l’esaurimento della più grande spinta globalizzatrice della storia.
In verità la globalizzazione è in crisi da molto più tempo, almeno una decina d’anni.
La fase che si aprì con la caduta del muro di Berlino fu quella della “iperglobalizzazione”, quando da un giorno all’altro le aziende dell’Europa occidentale si ritrovarono con una fonte di lavoro qualificata a basso costo recuperata dalla vicina Europa dell’Est. Poi arrivó anche la Cina che si aprì sempre di più a seguito del suo ingresso nel Wto.
La festa della globalizzazione è finita con la crisi finanziaria del 2008.
Si è cominciato a parlare di un ritorno del protezionismo perché aumentavano in maniera sempre più diffusa la paura e l’incertezza con la conseguenza che molte filiere produttive su sono accorciate, alcuni comparti sono rientrati e gli investimenti in robotica sono aumentati per ridurre il costo del lavoro.
Dopo la crisi del 2008, negli ultimi dieci anni, i venti maggiori paesi al mondo, tra quelli industriali e quelli emergenti, hanno cominciato a isolarsi, tutelando la loro agricoltura e difendendosi con nuovi dazi dal presunto dumping (esportazione di merci a prezzi molto più bassi rispetto a quelli del mercato interno) dei partner commerciali.
Non basta però sostituire gli esseri umani con i robot per aumentare la produttività: ci vogliono anche creatività e innovazione.
Siamo davvero certi che oltre ai progressi sul digitale della Cina, il popolo mandarino sia davvero così innovatore e creativo? Qualche dubbio ce l’ho se penso che quel popolo è sorvegliato e ha poca libertà essendo guidato in maniera invadente dal suo presidente a vita che governa con pieni poteri.
Anche gli USA si stanno mettendo i bastoni tra le ruote da soli, con la politica protezionistica un po’ grossolana di Trump che sta anche bloccando gli immigrati che sono quelli che in gran parte hanno dato vita alle nuove idee e che hanno contribuito a creare una parte significativa di “unicorni”, quelle start up che valgono più di un miliardo di dollari.
Potrebbe allora arrivare l’ora dell’Europa, soprattutto se sa cooperare e superare la rabbia dei paesi del sud, che si sentono abbandonati.
I 450 milioni di abitanti dell’UE permettono economie di scala simili a quelle che ha garantito la globalizzazione. Lo scontro sul
Recovery Fund, per quanto forte, deve arrivare a una sintesi, nell’interesse di questo grande mercato europeo che, in fondo, ha anticipato in piccolo la globalizzazione. Le ingenti risorse messe a disposizione non dovranno però essere sprecate in regali elettorali elargiti dai governi nazionali: questa è la vera scommessa dell’Italia per la sua ripresa.